RAI EDUCATIONAL - VIAGGIO al SUD

I giovani del Liceo Scientifico CAMINITI di GIARDINI NAXOS incontrano il regista FOLCO QUILICI

Alla domanda di Valentina sul senso del viaggiare, Folco Quilici risponde: “Ci sono due maniere di fare un viaggio. A cavallo delle tue proprie gambe. Oppure, senza timore di incappare in un luogo comune, credo si possa parlare di un viaggio come di un’avventura dentro te stesso. Nella propria soggettività. Magari, rimescolando, rivisitando, con la propria fantasia, le esperienze, i luoghi, il ricordo e la sorpresa di qualcosa di cui nessuno ti aveva mai parlato prima.

Eppure, il viaggio autentico – forse, ancor più vero di quello vissuto – solitamente lo faccio dopo, raccontandolo nei film. Di quello che i miei occhi hanno, di fatto, visto della Polinesia degli anni ’50, mi resta un ricordo sbiadito. Il film, ad essere onesti, non è esattamente un viaggio. Non documenta fedelmente il viaggio, così come veramente lo si è fatto. Adatta la memoria degli eventi al suo linguaggio visivo. Ci sono esigenze di montaggio che cambiano l’ordine delle cose, che non corrispondono meccanicamente a quelle viste dai miei occhi. Per quanto possa apparire incredibile, ricordo meglio le cose che ho avuto modo di raccontare attraverso i miei film.”

“Con quale occhio vede il Sud dell’Italia, dopo aver esplorato il Sud del mondo intero?” Chiamato a rispondere alla domanda di Laura, scambia con lei battute scherzose.

La interrompe garbatamente: “Lo sa che ha degli occhi bellissimi?” Richiama, poi, l’obiettivo sullo sguardo attraente della ragazza. La seriosità che rischia talvolta di appesantire l’atmosfera dell’incontro col mostro sacro, d’incanto si dissolve. Un’insperata, interminabile sequenza sul dettaglio degli occhi, domina lo schermo.

Senza tradire alcun imbarazzo e per niente mostrandosi lusingata, Laura controlla con lucidità il filo dei suoi ragionamenti, mentre rivolge il quesito.

Alexandra: “Il suo viaggio si spinge fin nel cuore del folklore nel Mezzogiorno e nei luoghi che furono sfondo dei racconti mitici?” Folco Quilici: “Ricordo la serie sul tema, che girai con la televisione francese intorno agli anni ’70, nella quale nel tentativo di spiegare molti aspetti del Mediterraneo, si faceva ricorso alle tradizioni popolari, quelle che con un brutta parola o per lo meno usata male, si chiama folklore.

Il fatto terribile non è tanto che molte tradizioni siano, purtroppo, destinate a scomparire, ma piuttosto, che proprio esse che costituiscono una chiave per spiegare le radici di tanta cultura del Mediterraneo, si siano trasformate in autentiche sagre turistiche.”

A mo’ di esempio, fa riferimento alla “festa del pesce a mare” della vicina Acitrezza, la cui spettacolarità esteriore, non è che un mezzo funzionale ai vecchi pescatori per iniziare i giovani ai pericoli della pesca al largo. Rammenta la “caccia al Caprone”, in Basilicata, nella quale, ritualmente, fingendo l’inseguimento e la sfida all’ultimo sangue con la bestia, simboleggiata da una maschera grottesca, i contadini accelerano con le loro falci, il taglio del grano. Così, il sacrificio del Caprone stanato dal campo di spighe, evoca il rito ancestrale del sangue che feconda la terra, risalente alla Magna Grecia e sicuramente più antico di un millennio.

Il linguaggio e le affabulazioni di questo straordinario ospite accendono la fantasia dei ragazzi, soprattutto quando confessa, col candore di un irriducibile Peter Pan, il sogno impossibile di un viaggio su altri pianeti. “Vorrei essere ancora qui, assieme ai vostri pronipoti, nella speranza di intraprendere, magari solo visivamente, l’esplorazione di altri mondi. Proprio perché consapevole che mi sarà per sempre interdetto, questo viaggio ha su di me il fascino irresistibile del frutto proibito.”

Alla deriva dei viaggi inesausti, raccontati o solo sognati, che prendono corpo nella voce entusiasta di Folco Quilici, Laura è tentata di osare una domanda pur sforando i tempi previsti per la registrazione. Ripesca dai suoi ricordi, immagini di un film girato anni addietro dal grande documentarista.

Immagini che avrebbero ispirato, poi, inseguendo vie assolutamente insondabili, la performance tribale al liceo di Giardini Naxos del suo singolare “Omaggio a Jackson Pollock” realizzata dal Laboratorio multimediale “Il Sogno di Polifilo” del prof. Elviro Langella. https://vimeo.com/22027184

La mente va ad un servizio del nostro documentarista sui riti d’iniziazione praticati in un arcipelago sperduto della Nuova Guinea. Il filmato mostrava, in particolare, uno dei cosiddetti “riti di passaggio” che sanciscono la fine di una fase e l’ingresso in un’altra, nel ciclo di crescita dell’uomo.

Un colore, il bianco, si fissa indelebilmente al ricordo delle sequenze girate tra le remote tribù nel profondo della giungla in Nuova Guinea o piuttosto, dell’Isola della Nuova Britannia.

I bambini del lontano villaggio, raccolti in penitente silenzio, se ne stanno seduti dentro un recinto. Gli adulti chiamati ad officiare il rito, provvedono ad aspergerli di cenere e polvere di riso, che sembrerebbe conferire simbolicamente, il pallore della morte.

Poi a turno, i bambini si preparano ad essere consacrati al “dio pescecane”. Vengono sospesi per aria dallo sciamano e lanciati con finta brutalità attraverso grandi bocche di squalo. Con studiatissime, accorte manovre, questo salto nel “cerchio di fuoco” dell’iniziazione, li fa passare indenni tra le fila taglienti dei terribili denti, infissi nello scheletro di quelle fauci.

La simbolica bocca di un grande squalo preparata per un rito di iniziazione di giovani papua. Isola della Nuova Britannia, 1969, Folco Quilici © Fratelli Alinari

Tutto il rito sembra alludere ad una palingenesi, al transito del bambino attraverso la soglia obbligata della “morte” della primitiva identità infantile. Abbandonato l’eden dell’infanzia protetta conquista, così, il suo posto nel grande cerchio della vita del mondo adulto.

Chi ha visto quelle sequenze risalenti al 1955 può immaginare l’assoluta novità della narrazione cinematografica inaugurata in quegli anni da Folco Quilici.

L’effetto spiazzante sullo spettatore dinanzi a immagini inedite che parevano provenire da un altro pianeta.

Scena da “Oceano” di Folco Quilici (1971) musiche di Ennio Morricone

Era l’irruzione dell’esotico nell’impianto culturale italiano. Una cosa mai vista e stravolgente. Quilici esplorava la vita di quelle popolazioni con la curiosità del geografo e dell’antropologo.

L’immagine eloquente di una mascella di squalo lambita dalle onde su una spiaggia deserta preludeva, come si è visto, a un rito iniziatico. Mostrava come tutti i ragazzini di un villaggio per diventare adulti e pescatori dovessero passare attraverso la fauci enormi e dentate di uno squalo. Da quel momento, come spiega Quilici, si diventava uomini pronti a lavorare, ad affrontare il mare e gli squali.

Poi, nel 1970, è sempre il mare, onnipresente nei suoi viaggi, a raccontare la storia di altri uomini. E si descrive un rito di sposalizio tra la terra e il mare che si spinge ai primordi della storia.

Questa volta siamo in Giappone, e protagonisti sono altri pescatori.

Il vincolo che unisce mare e terra è simboleggiato da una fune enorme che i pescatori tendono tra due rocce che emergono dall’acqua. Una seconda fase del rito prevede che si getti cibo in acqua per i marinai scomparsi, che in questo modo partecipano al banchetto nuziale. A Bahia, invece, la gente acclama trionfatrice e dea del mare una sirena, alla quale fanno doni propiziatori. Una sirena bionda che ricorda le nostre madonne. Una simile emerge dal mare a Mongibello, Italia, in un rito cattolico ma che probabilmente ha lontani tratti animistici come quelli brasiliani.

Scena da “Sesto continente” di Folco Quilici (1954) Le prime riprese a colori nella storia della cinematografia subacquea italiana realizzate nel corso della "Spedizione Subacquea Nazionale nel Mar Rosso" organizzata da Bruno Vailati

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